lunedì 22 agosto 2011

La festa del paese

Era una notte buia e tempestosa, aveva piovuto tutta la settimana e l'ultimo temporale aveva fatto saltare la corrente a tutti i quartieri confinanti con la chiesa, che condividevano una vecchia centralina elettrica.
Non che fosse un male, anzi: mai come quell'anno in paese si era sperato che qualcosa impedisse la festa patronale. Invece la malasorte volle che proprio al sabato sera in cui si concludevano i festeggiamenti in memoria del martirio di San Gualdino la pioggià cessasse e la corrente elettrica tornasse ad invadere le vie di luce artificiale.
Gianluca non usciva da giorni per via del maltempo e non ne poteva più. Aveva voglia di fumarsi una sigaretta e poteva approfittare della festa come scusa per uscire a cercarsi un posto appartato perchè aveva solo 14 anni e in casa non sapevano che fumava.
Ma San Gualdino doveva proprio avercela con lui "Mamma, io esco, vado alla festa" aveva annunciato defilandosi per la porta di casa "Aspetta! Vengo con te!" lo seccò sua madre sulla soglia.
Peggio di così non poteva andare. Per tutto il tempo la madre non aveva fatto altro che ciarlare "Ci tenevo così tanto a vedere la festa, tuo padre non mi porta mai da nessuna parte..."
Il ragazzo era già nervoso perchè la sua fumata in solitaria, era proprio il caso di dirlo, andava in fumo, oltretutto non voleva farsi vedere dagli altri ragazzi in giro con sua madre.
Per fortuna c'era poca gente in giro, molto poca. Vuoi per il freddo e l'umido, vuoi perchè di sabato sera le persone normali vanno a divertirsi in posti migliori, vuoi perchè di quella festa paesana non interessava niente a nessuno, ma la partecipazione era assolutamente scarsa.
"Uh, come sono contenta che c'è la festa, quando ero bambina mi divertivo tanto- continuava a squittire la mamma e Gianluca non capiva che c'era da divertirsi in quel mortorio- uh che belle le bancarelle! Ci prendiamo lo zucchero filato?  Uh, senti la musica!" "Ma'! Ma quale bello, non lo vedi che non ci sta un cavolo?" borbottava lui seccato da tanto ingiustificato entusiasmo. Tutta la strada principale del paese era stata transennata per impedire il passaggio alle automobili e lasciare libere le piazzole per le bancarelle. Ma le bancarelle non c'erano e la strada era vuota, accentuando ancor più la desolazione. Gianluca pensò che nemmeno i venditori ambulanti avessero accettato di partecipare.
Nel parcheggio del supermercato erano state montate due giostrine e un autoscontro. I giostrai con le facce tetre sgranocchiavano arachidi  e riempivano i marciapiedi di gusci, non c'era nessun bambino a quell'ora. Solo sulle macchinette della pista c'era qualche ragazzino che aveva tormentato il padre per farcisi portare.
Lungo le strade si alzavano i fumi di frittura dei chioschi che cuocevano pannocchie, patatine e panini alla porchetta ed erano le uniche attività intorno a cui le persone si radunavano, specialmente uno che aveva installato un ricevitore satellitare per trasmettere la partita di calcio della serie A: lì sì che c'era un bel mucchio di gente, tutta dedita a fare pronostici e discutere animatamente sul calciomercato come se si trattasse di roba loro, il che, tuttosommato, potevano farlo anche standosene a casa.
Non mancava un flusso migratorio verso la piazza del paese, in mezzo alla quale sorgeva la chiesa dedicata a San Gualdino, tutti andavano verso la musica rimbalzante sui muri delle palazzine, la cui eco arrivava fino al paese vicino.
Le ragazzine appena adolescenti agghindate da gran sera schiamazzavano, correndo lungo la via, tenendosi tutte strette sottobraccio con le altre, un po' infreddolite e un po' vergognose di sembrare contadine a festa ma con la speranza di farsi vedere dai ragazzi, che invece non si erano fatti vivi. C'era solo Gianluca a lanciare qualche occhiata ma solo per farle contente o avrebbero passato la serata a rimirarsi tra di loro.
"Uh che bello, la musica! Corriamo, andiamo a vedere!" starnazzava sua madre man mano che si faceva più forte il ritornello insopportabile di una mazurca importata da chissadove, tirandolo per le maniche, saltando ansiosa di vedere la più brutta orchestrina del mondo: una decina di fessi con addosso costumi gialli e rossi che pareva avessero scambiato la ricorrenza del martirio col Carnevale. La piazza era quasi deserta e le facce dei presenti erano tutt'altro che divertite, quasi li avessero costretti a stare lì al freddo a sorbirsi l'imbarazzante esibizione sul palco.
"Balliamo?" propose la mamma di Gianluca con un sorriso che le arrivava alle orecchie.  Questo era troppo "No!" rispose secco il ragazzo. La madre voltò la testa con l'aria di essersi offesa e si concentrò tutta sulla musica accennando qualche passo di ballo, esplodeva dalla voglia di divertirsi. Gianluca se ne rese conto e questo gli fece un po' male. Però che poteva farci lui, che era un ragazzo d'altri tempi, se quella festa avrebbe fatto pietà persino a San Gualdino stesso?
La mamma tornò improvvisamente da lui "A che ora li fanno i fuochi?" "Che??" "I fuochi, i botti, li fanno? Io li voglio vedere! Scusi, che sa quando fanno i fuochi?- domandò alle prima persone che si ritrovò nelle vicinanze- Lei lo sa? I fuochi a che ora li fanno? Ma qui in piazza o al belvedere?- nessuno sapeva rispondere. Finchè nelle tenebre rischiarate dalle lucette decorative sospese tra i lampioni  a cavallo della piazza, non comparve ondeggiante una piccola suora, diretta verso la sagrestia di gran lena- Sorella ma i fuochi quando li fanno?- la mamma non mancò nemmeno lei. "Eh, signora- rispose la suorina scuotendo nervosamente il capo avvolto nella cuffia velata- quest'anno niente!" "Ma come?! Perchè non li fanno?!!" fu quasi un grido di dolore.
"Eh, signora, quest'anno non ci sono bastati i fondi, purtroppo le offerte sono state troppo poche... giusto giusto per pagare la musica!" si giustificò quasi stizzita la suora indicando il palco e continuando a scuotere la testa, come a voler incolpare tutti gli abitanti del paese per non aver sganciato abbastanza.
La mamma di Gianluca pareva aver ricevuto un colpo al cuore- Ma io li volevo vedere i fuochi!- era una delle cose che Gianluca meno sopportava di sua madre questo attaccamento ai fuochi d'artificio, sempre uguali da decine di anni.
Ormai era il caso di tornare e la donna si avviò verso casa stringendosi le braccia al petto per il freddo e adocchiando un po' tutti i passanti come colpevoli della sua delusione. Gianluca la seguiva poco distante con le mani in tasca e l'aria annoiata. Passando davanti all'unico pub del paese allungò l'occhio oltre la porta aperta, per via di una cameriera che all'ingresso passeggiava sui tacchi luccicanti mentre chiacchierava sfaccendata al cellulare: dentro la sala era completamente vuota. Di sabato sera. Chissà dov'erano tutti, se fuggiti verso mete di svago più ricche di vita o rinchiusi nelle loro case a guardare il calcio e discutere del calciomercato.
Anche nell'ultimo tratto verso casa sua Gianluca non aveva incontrato nessuno di sua conoscenza (per fortuna). Persino i venditori ambulanti facevano i bagagli con in volto l'espressione pentita di chi aveva perso tempo e denaro. Quella non era la festa del paese: era il funerale!
Quando furono sulla soglia il ragazzo, ormai persa ogni speranza di fumarsi la sua sigaretta, sbuffò contento solo di potersene andare a dormire. La mamma, proprio davanti a lui, inserì la chiave nella serratura e spinse in avanti la porta. Si voltò verso il figlio, esibendo un sorriso radioso "Domani ci torniamo?"

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