venerdì 30 dicembre 2011

Storia di Maddalena

In questo racconto ho tralasciato la forma perchè si tratta del resoconto di un fatto e non volevo alterarlo con la dialettica.

Erano gli anni '70 in tutto il mondo tranne nel villaggio di pescatori dell'isola dove da un po' approdavano mercantili stranieri che non si erano mai visti prima. Arrivavano dal continente, dalla Grecia, Iugoslavia, Albania e scaricavano a terra, più che casse di merci, brutti ceffi da cui le donne si guardavano bene.

Maddalena si arrampicava sui sassi irti della scogliera, i capelli lunghi sconvolti dal vento le frustavano il viso ma non se li raccoglieva mai, facendo infuriare sua madre che cercava invano di imporle la disciplina.
Non c'era mai nessuno a quell'altezza anche se il sentiero era visibilmente battuto. Il mare era leggermente mosso e si schiantava lungo le rocce. La prua della lunga e bassa nave appariva dal fianco del promontorio verde che torreggiava a poche decine di metri dalla spiaggia. Aveva sulla chiglia parole scritte in un alfabeto che lei non conosceva.

Dopo una mezz'ora era scesa giù al paese, curiosa di vedere la nave da vicino. Il maresciallo dei carabinieri a quell'ora se ne stava volentieri al bar del porto con la scusa di dare un'occhiata all'insolito movimento di navigli degli ultimi mesi. Se la vide passare davanti in direzione del molo e "Signorina- la fermò- non ci vai a scuola?"
Maddalena, poco propensa agli scambi verbali, lo guardò senza rispondere.
"Che dice tua madre?" le domandò ancora.
"Che la devo aiutare- spiccicò appena lei come risposta- a scuola ci vado quando torna mio padre"
Maddalena non sapeva dove era finito suo padre, credeva che fosse uscito in barca e ci rimanesse per un paio di giorni come era uso nei periodi di pesca. Il maresciallo la fissava muto, non se la sentiva di dirle che suo padre era disperso in mare e probabilmente non sarebbe mai più tornato.
"Vai a casa- la esortò- se stai qui non l'aiuti tua madre. E domani vacci a scuola."

Voltate le spalle senza dire niente, Maddalena riprese il cammino verso il mare, sparendo tra le casupole di pietra bianca allineate in faccia al porto. Voleva trovare la nave che aveva visto. Scendendo più avanti, dove il centro abitato si diradava e la terra diventava sempre più brulla, sul fianco del promontorio c'era un secondo porto mai usato dai pescatori che adesso era molto frequentato da queste grosse navi straniere. Ed eccola ormeggiata lì, la lunga, bassa nave dalla chiglia nera con scritte bianche in caratteri misteriosi. Le si piazzò davanti a scrutarla e non si accorse di non essere sola.

"Che guardi?" la sorprese una voce straniera.
Un uomo pallido con un maglione rosso acceso era alle sue spalle, gingillandosi tra le mani una sigaretta spiegazzata.
"Che c'è scritto?" gli domandò lei.
"E' nome di padrone" la osservò dalla testa ai piedi, si infilò la sigaretta  in bocca, cacciò fuori dalla tasca dei pantaloni una scatola di fiammiferi e ne accese uno, portando la fiamma al viso, riparandola quanto possibile dal vento con le mani racchiuse a conca. Maddalena lo guardava in silenzio, per lei era insolito quel rituale: poche volte aveva visto delle sigarette tra i pescatori, amici di suo padre, era un prodotto raro e ci voleva una buona occasione per consumarlo.
"Tu vivi qui?" le domandò ancora.
Lei annuì.
"Quanti anni?"
"Quasi quattordici"
"Quanto?" chiese ancora, sollevando i palmi delle mani a indicare con le dita il numero dieci.
Maddalena usando le dita alla stessa maniera lo corresse: "No! Quattordici!"
Lui strinse gli occhi, corrugò la fronte: le era sembrata più piccola, non le avrebbe dato più di undici anni, forse per il vestito nero scolorito dal sole, tipico di quelle parti, i capelli selvaggiamente abbandonati e un'espressione acerba in viso.
"Tu lavori? Che fa qui?" chiese ancora lui.
"No, non ce l'ho il lavoro. Aiuto mia madre"
"Io ti faccio lavorare. Se tu vuoi c'ho lavoro!"
"E che devo fare?"
"Vieni con noi- disse indicando la nave- domani andiamo, mezzogiorno. Tu vieni?"
"Sì."
"Tu vedi , vieni..." le fece cenno di seguirlo. Le gli andò dietro, risalendo a ritroso tutta la strada che aveva fatto per arrivare sin lì.

"Come chiami? Tuo nome?" le aveva chiesto
"Sciacca Maddalena"
"Giacca..lena?" riepetè incerto lui non comprendendo la pronuncia di quel nome troppo lungo
"No! Maddalena... Ma-dda-le-na" lo scandì lei.
"Ma-dda-lena- ritentò annuendo- io Piotr"
"Come Pietro?"
"Va bene Pietro!" le disse accomodante. Nel frattempo erano giunti all'ingresso della pensione che si affacciava sul porto, una palazzina bianca ornata di lastre di marmo luccicante sui terrazzi.
Pietro le fece segno di entrare, non c'era nessuno nell'atrio e la guidò su per le scale che conducevano al primo piano. Si sfilò dalla tasca una chiave di ottone e la cacciò in una serratura. "Entra" le disse.
Maddalena, cauta, si avvicinò e restò impalata sulla soglia guardando dentro. Non aveva mai visto un albergo dall'interno. La stanza era molto pulita e scarna di mobilio, marmi grigi puntellati di nero circondavano le finestre da cui si vedeva il resto del paese e dietro il mare, c'era odore di muffa. "Entra!" le ripetè lui sfiorandole la spalla nel tentativo di spingerla "Che fate?!" lo fermò la voce della proprietaria.
Pietro, ritraendo la mano, farfugliò qualcosa. Maddalena fece un passo indietro.
"Questo è un posto rispettabile! La porti via da qui o chiamo i carabinieri!" sbraitò la donna indicando la ragazzina che si sentì accusata di qualcosa che non capiva.
Pietro sollevò le mani protestando nella sua incomprensibile lingua e tirò via Maddalena, indicandole di scendere dalle scale e andarsene da sola "Domani, mezzogiorno! Tu vieni?" le rammentò un'ultima volta. Lei fece cenno di sì con la testa e corse giù turbata per quanto era accaduto.

Maddalena scappò dalla pensione, via tra i viottoli a cercare riparo a casa, sconvolta dalla sensazione che qualcosa di brutto fosse successo per colpa sua ma senza consapevolezza di cosa.
Arrivata a poca distanza dalla casa, una baracca di legno in mezzo ad altre in cima al villaggio, scorse la ruvida figura di sua madre che l'aspettava sulla porta con in braccio uno dei suoi fratelli, l'ultimo nato, che piangeva per chissà cosa e tuttavia non riceveva alcuna attenzione. La madre era furibonda con la figlia, l'aspettava sull'uscio apposta per tirarle un ceffone. Maddalena aveva paura di quello sguardo perenne sul volto di sua madre, un volto scarno segnato da rughe, sormontato da aridi capelli ingrigiti e dominato da occhi blu normanni che la trafiggevano.
"Dove sei stata?!" le urlò. La ragazzina rimase impietrita a due metri dalla porta. "Vieni qui, entra!" le gridò ancora la madre e tentennando si fece avanti sapendo di non poter sfuggire al pesante schiaffo che le precipitò sulla testa, accompagnato da una pioggia di insulti. Maddalena corse piangendo a nascondersi sotto il letto, tra le grida degli altri due fratelli e della sorella, tutti più piccoli di lei, concitati dalla confusione.

Nel primo pomeriggio Maddalena e la sorella furono mandate al lavatoio con i panni. La bambina giocava con dei sassi raccolti mentre lei stava piegata con le mani nell'acqua fredda, circondata dalle altre donne che svolgevano la medesima mansione cantando e parlottando tra loro.
Strofinava i panni con rabbia, disprezzando tutte quelle faccende cui era costretta e pensava con orgoglio che il giorno dopo sarebbe partita con la nave di Pietro per lavorare lontano da quell'isola puzzolente e sarebbe tornata con tanti soldi da tirare in faccia a sua madre. E mentre fantasticava su tutto questo scorse sulla strada il maresciallo dei carabinieri che si toglieva il cappello verso qualcuno che arrivava in sua direzione e un istante dopo comparve la proprietaria della pensione. Una sensazione di  terrore l'assalì e chinò il capo sull'acqua sperando che non la vedessero. Strofinò con foga i poveri tessuti che aveva fra le mani nel tentativo di fare presto e andarsene di lì il prima possibile.

Il mattino dopo si comportò in casa come niente fosse, eseguì gli ordini in silenzio, col cuore carico di speranza perchè tutto stava per finire. "Va a prendere il pane" le disse la madre mettendole una manciata di monete in mano e lei uscì di casa con gli occhi bassi. Non andò mai al forno.
Maddalena si arrampicò sulla scogliera, guardò dall'alto la nave dalla chiglia nera a fianco del verde promontorio. Scese sul sentiero battuto, raggiunse il porto dove attraccavano le lunghe navi straniere e attese l'ora dell'appuntamento. Era arrivata con un certo anticipo e Pietro si presentò in ritardo ma lei non si mosse.
"Buongiorno, tu sei qui!" osservò lui ridendo.
Le fece cenno di seguirlo e l'accompagnò sul ponticello traballante che immetteva nel ventre della nave. Maddalena salì scalette incerte e attraversò piani e stretti corridoi. Era tutto sporco, arrugginito, puzzolente di marcio. Gli uomini della nave la guardavano senza troppa discrezione e mormoravano tra loro cose che lei non poteva capire.
Pietro le faceva strada, avvolto in quel brutto maglione rosso acceso, i capelli neri arruffati, la faccia pallida e l'andatura di un ubriaco. La fece entrare dentro uno stanzino e le disse di rimanere lì "Che ha portato?" chiese. Maddalena fece cenno di no con la testa. Lui insistette e lei estrasse dalla tasca le monete che le aveva dato sua madre per il pane, facendo intendere che era tutto quello che aveva con sè. Pietro allungò la mano e le prese i soldi, li contò e se li mise in tasca poi uscì e chiuse la porta. Istintivamente Maddalena vi si buttò contro cercando di aprirla ma era bloccata. Si sentì in trappola, la paura la pervase e iniziò a piangere.

Lo stanzino aveva le pareti rivestite in legno giallognolo e vi erano stipate scope, secchi, flaconi con etichette scritte in quell'alfabeto ignoto e un mucchio di sporcizia. Aveva delle finestrelle rettangolari strette che lasciavano entrare luce ma erano troppo in alto perchè lei potesse affacciarvisi.
Improvvisamente sentì uno scossone e tutto iniziò a dondolare. Maddalena capovolse un secchio, vi montò su e in punta di piedi cercò di scrutare oltre quelle finestrelle: tutto si muoveva, la nave era partita.
Ma non passò molto tempo che la porta si aprì improvvisamente e comparve Pietro con l'aria molto alterata che la sorprese così arrampicata a guardare fuori e l'afferrò senza delicatezza per farla scendere. La trascinò fuori, lei si dibatteva e protestava ma l'uomo era troppo forte perchè potesse liberasi dalla sua stretta. La condusse su un corridoio all'aperto, protetto dal vuoto solo da una sottile e precaria balaustra di ferro rugginoso. Maddalena guardò con orrore il mare che lambiva la chiglia della nave e scorse altre navi molto più piccole, tutte con gli stessi colori, che li circondavano. Udì parlare in italiano dai megafoni: erano i carabinieri e la guardia costiera e ordinavano all'equipaggio di fermarsi. Capì che erano lì per lei.

Pietro sbraitava nella sua lingua e la strattonava con violenza. Urlò qualcosa contro i militari e quando ebbero raggiunto la poppa della nave la sollevò di forza verso la balaustra. Maddalena urlava: "No! Non mi buttare, ti prego! Nooo!" e cercò disperatamente di aggrapparsi al ferro rugginoso. Ma non ebbe la forza di sostenersi e precipitò giù, verso l'elica che si avvicinava sempre più alla sua faccia.
Il mare era nero e freddo. Maddalena affondò in un inferno lento e silenzioso.

Per un attimo, sospinta dalla pressione, le sembrò di riemergere e vide in alto, in cima al ventre nero della nave, il maglione rosso, Pietro, appoggiato alla balaustra, che la guardava immobile mentre lei lo implorava di aiutarla e fu l'ultimo ricordo che ebbe della vita.

lunedì 19 dicembre 2011

41mila voci

Ho 43 anni e non dormo da 13 giorni.

Questa mattina ho preso il traghetto alle 8 e 37, un po' in ritardo sull'orario ma c'erano 2 guardie, c'erano... c'erano 2 guardie che fermavano dei ragazzi stranieri, a 1 gli facevano aprire lo zaino e controllavano tutti i vestiti. Poi non è successo niente. O io non me ne ricordo.

L'ultima volta che ho dormito ero a casa mia, nella mia città ed era quasi ora di pranzo, quindi erano quasi le 12 oppure quasi le 13, avevo tirato tardi e volevo dormire, era domenica, era il 27 di febbraio ma non sono sicuro. Non mi ricordo.
Ricordo che sono andato in cucina a prepararmi il caffè e poi lei ha urlato. Ricordo. Ricordo che urlava, ce l'aveva con me ma non ricordo per cosa. Ricordo che diceva che era colpa mia perchè dormivo sempre, diceva. Diceva che di me non poteva fidarsi, diceva. Il caffè si è bruciato sul fornello che ho dimenticato. Io ero distratto a sentire lei che urlava e poi la caffettiera è esplosa in aria.

Sul traghetto c'è sempre la stessa quantità di persone, sono circa 200, un po' restano sedute sotto, non glie ne frega niente di vedere il mare, altre siedono sopra ma non escono, guardano dai vetri. Invece io sono sul ponte, c'è il sole ma è freddo. A giorni arriva la primavera. Tra 7 giorni. Sono le 8 e 49, passa l'uomo col vassoio di tè, dice"çay!" forte, loro lo chiamano così il tè çay. E' buono, si può bere senza zucchero, costa 2 lire, equivalgono a 80 centesimi di euro. Qui lo bevono sempre, tutto il giorno, serve per ingannare il tempo. Noi altri fumiamo ma io credo che facciano meglio loro.

C'è una lama di sole che taglia le montagne all'orizzonte. I gabbiani sterzano vorticosamente intorno a noi, sembra che vogliano attraversare il ponte ma poi lo sfiorano e basta e tornano sù. Gridano. Pare che parlino tra loro ad alta voce. Pare che parlino di noi che stiamo qui a bere tè da 2 lire in questi 20 minuti che ci separano dall'altro lato del Bosforo. Sono 100 gabbiani, li ho contati ma non so quante volte ho perso il conto.

Lei diceva "pensi solo a dormire" e io ho risposto che potevo arrivare in capo al mondo e lei urlava, poi se ne è andata via e non l'ho più vista. Ho 43 anni, faccio il giardiniere, di solito curo le aiuole delle fabbriche nella nostra zona, hanno cespugli e alberi, non servono a niente che tanto loro producono schede elettroniche ma ci tengono all'immagine, anche in un paese sperduto dell'entroterra che campa solo di piccola industria e tutti gli abitanti sono operai e manovali che lavorano per loro, lavorano il giorno, tornano a casa per dormire la notte, poi ricominciano. Non c'è altro da fare. Io invece no, io so come divertirmi, vado al bar a fare l'aperitivo, discuto di calciomercato con il barista, a volte litigo con qualche vecchio che vuole saperne più di me. Vado anche al cinema, se esce un film nuovo, se vedo la pubblicità in televisione, vado a leggere la programmazione del cinema locale sul giornale. Ci vado una volta alla settimana, c'è sempre qualcosa di nuovo. Mi riempio di cose da fare.

Compro libri sulle bancarelle, costano 1 euro o 2 euro o 5 euro e 50, ci trovo romanzi di scrittori sconosciuti, non tanto belli, ma anche grandi opere, piene di pagine 500 pagine 800 pagine 1267 pagine, li porto a casa, li leggo prima di addormentarmi, li leggo sull'autobus, li leggo negli ultimi 15 minuti della pausa pranzo. Non ricordo l'ultimo libro che ho letto.

Da 13 giorni non dormo, io non dormo più da quella volta che mi ha detto "pensi solo a dormire, non posso fidarmi di te" e se ne è andata e non l'ho più vista. I primi giorni andava tutto bene, non avevo sonno, poi sono arrivati i dolori, ho tanti dolori, mi duole tutto, poi ho iniziato a dimenticare le cose più del solito, molto di più, 10 volte di più, ricordo solo numeri, numeri, numeri che corrono come cavalli. Ho detto "posso arrivare persino in capo al mondo" ed eccomi, scendo dal traghetto sulla sponda di Eminönü, sono lontano da casa, ho preso i biglietti, una borsa senza sapere che c'era dentro, i soldi alla rinfusa, comunque ho un bancomat ma non controllo mai il saldo, mi fanno paura i numeri, quei numeri non li voglio vedere, i numeri dei soldi, superiori a 2 lire, 80 centesimo di euro, non voglio parlare di soldi. non voglio dormire. Sono in capo al mondo, 1363 chilometri da casa, 91° di Azimuth, 16 gradi di temperatura, sono le 9 e 10 di mattina, è il 13 marzo, non mi ricordo l'anno.

Mi sento male ma no cedo. Non posso, ho detto che arrivavo in capo al mondo. Lei se ne è andata. Forse torna e non mi trova in casa. Peggio per lei. Magari piange. Non mi ricordo perchè se ne è andata. Urlava. Erano quasi le 12. Non mi ricordo che giorno è oggi. Vorrei chiederlo, non mi ricordo le parole. Non posso sedermi a bere il çay, se mi siedo mi addormento e io non voglio dormire. Io non penso solo a dormire.

Cammino, cammino, ho le idee poco chiare ma cammino. Mi guardano. Avrò certo una faccia curiosa, già che sono straniero e si vede, avrò certo una brutta faccia. Non parlano però. Oppure sono io che non li sento. Poco fa l'avevo sentito il muezzin dalla moschea, più d'uno, si sovrapponevano ma adesso non sento più niente.

Ho la nausea, ho provato a mangiare ma mi viene da vomitare. Urto delle persone. Mi volto per scusarmi e vedo che non sono persone. Ho urtato un animale, è nero ma non capisco che animale è. Non mi ricordo. Vedo un animale. Improvvisamente non c'è più, sono due uomini che mi parlottano contro ma non sento cosa dicono, comunque io non parlo la loro lingua.
Cammino, costeggio le moschee e i negozi di cianfrusaglie per turisti, non mi fermo mai, sono in capo al mondo da solo, non dormo da 13 giorni, mai una volta. Poi quell'animale nero che mi segue, sul marciapiede opposto, poi mi è davanti ma cammina con me, all'indietro. Non sento più niente, ho dolori dappertutto, 43 dolori, li ho contati.

Varco un portone, non so cosa sia, forse non dovrei entrarci, c'erano 2 guardie c'erano... alzavano le braccia ma io non sentivo. Sono entrato, l'animale nero mi precedeva, non so cosa voleva, parlava, muoveva le braccia, non voleva che entrassi ma io camminavo, con le scarpe e andavo dritto, oltre la transenna, dov'erano quelle persone che s'inginocchiavano, volevo inginocchiarmi anch'io, l'animale nero, le guardie, lei, 41mila voci in coro mi urlavano nella testa che pensavo solo a dormire ma non era vero, l'ho dimostrato, non ricordo come ma sono sicuro, perchè poi sono finito a terra e ho chiuso gli occhi e non mi sono mai più svegliato.