mercoledì 7 settembre 2011

Diario di un viaggio non ancora iniziato

Se partire è un po' morire allora sto dando i primi segni di cedimento, questa mattina con un dolore ancora misterioso. Ma si chiarisce con le ore che trascorro a riflettere, di pari passo con le azioni meccaniche del mio lavoro.

Volevo scappare, lo ammetto. La mia idea del Grande Viaggio altro non è che il piano di fuga da una condizione che potrebbe verificarsi. Un viaggio tutto proiettato nelle ipotesi.

E' la prima cosa che ti viene in mente di fare nel caso in cui ti trovi improvvisamente senza lavoro e con un piccolo gruzzolo che non potresti investire altrimenti. Potevamo andare in vacanza in una città alla moda e spendere tutto per compensare la delusione in divertimenti o in un'isola turistica a farci servire anzichè servire.
Invece abbiamo scelto come destinazione un posto abbastanza lontano da non sentirci a casa.

Lontana nello spazio e nel tempo, lontana nel modo di vivere e di pensare, di Kathmandu avevamo letto solo nei libri e ci era sembrata l'unica meta in cui trovare quello che stiamo cercando.

Un viaggio è una missione, si va a cercare qualcosa da riportare indietro o non si torna più.

Molti vanno a Kathmandu per fare trekking, nella forse inconsapevole missione di arrivare più in alto. Alcuni, memori degli anni degli hippies, credono di poterne fare ancora un viaggio allucinatorio. Qualcuno parte armato di carte di credito per potersi sentire ricco. Altri sono solo di passaggio in un incessante peregrinare che ha lo scopo di fagocitare il mondo. Noi cerchiamo una cosa che riteniamo di aver perduto: la spiritualità.

Anche lo spirito è un'ipotesi ed è volatile, per questo ci ha abbandonati, come Durga abbandona il corpo della Kumari cercandone un'altro più puro. Cercavamo un posto più puro dove il nostro mondo non esiste.

Dice uno dei miei ipotetici compagni- "Il viaggio è già iniziato"- e lo è davvero, dai lunghi preparativi, dalla continua ricerca di informazioni, dalle ipotesi su quello che accadrà. Ma non pensavamo ci fosse dell'altro: le reazioni.

A parlarne, in molti cercano di scoraggiarci, hanno paura, per noi e di noi. E in un baleno mi accorgo che il viaggio è già iniziato, precisamente la ricerca, poichè questo fa parte del gioco. Stiamo conoscendo davvero chi ci circonda a partire dalla sola ipotesi del viaggio.

Scandaglio con frenesia il fondo a cercare informazioni, voglio sapere tutto prima, come si vive, come si mangia, cosa può succedere, come fossi già lì.
Guardo ore e ore di filmati, leggo righe e righe di reportage, scrivo decine e decine di messaggi a persone invisibili che potrebbero aiutarmi.
Il viaggio è già iniziato. Conosco già le strade, i prezzi degli alberghi, le date delle festività, i nomi della Dea Vivente, il colore delle vedove, le cronache delle morti, le lettere dell'alfabeto Devanagari, il cambio della moneta, il voltaggio dei black out, i decori degli stupa, il sapore delle verdure, l'odore delle spezie, il sangue di trecentomila animali sacrificati, il dolore delle bambine, la paura delle superstizioni, il freddo dell'Annapurna, il malessere delle infezioni, il vuoto, la grande inconsistenza dell'idea, la forte delusione dell'ipotesi sbagliata.

Ecco cos'è questo dolore. Stiamo cercando lo spirito dove forse non c'è.

Ha senso partire? Potrei non tornare. Potrei davvero morire. Ma non ho paura della morte, solo del dolore.

Bibliografia ispirativa:
"Partire è un pò morire", Edmond Haracourt
"Flash. Katmandu il grande viaggio", Charles Duchaussois