domenica 30 ottobre 2011

(Indi)Pendenza

Quando si cammina su un sentiero di montagna ci si abitua alla pendenza.
Anche quando si viaggia in metropolitana o in nave. Per quanto lungo sia il viaggio, il corpo riesce a trovare un equilibro da sè.

Ma non quando si vive in una casa che pende da una parte.
Qui avviene un fatto curioso: la nostra testa sa che un pavimento sta in piano e non lo vuole proprio accettare che possa essere storto. Così il corpo vuole comportarsi come se tutto sia regolare e dopo un po' ne risente.

Capita, quindi, che a uscire di casa, dove le superfici ritrovano i propri equilibri, tutto sembri un po' più strano. La testa gira, il sangue ci balla dentro come il vino in una botte che rotola giù da un pendìo, le gambre tremano e le sicurezze vengono tutte a mancare.

Allora si comincia a stare bene solo in luoghi precari: in piedi sui mezzi pubblici, di corsa nelle strade inclinate, persino i macchinari da palestra sembrerebbero strumenti di relax.

La Torre di Pisa per me non è più una grande attrazione, dentro casa mia sono già un bel monumento per turisti curiosi.

Desideravo una casa dritta ma soprattutto desideravo l'indipendenza e per averla ho accettato di compromettere una certa rettitudine di cui potevo vantarmi.
I miei rapporti con le persone s'inclinano e dunque s'incrinano.
Le mie idee non hanno più un punto fermo.
Il mio corpo sfida la gravità e tutto mi si para da un'altra angolazione, direi circa 20°.

Tutto di-pende e ha la sua direzione e il suo verso, come un vettore buttato lì in una qualche dimostrazione di geometria analitica. Non ho niente da dimostrare, io, che la mia direzione non la so e il mio verso cambia troppo spesso.

Il ciarlare dei gabbiani mi ricorda una canzone di quelle elettroniche che farebbe da sottofondo perfetto nella mia stanza storta, ad evidenziarne l'assurdità come fossimo in un quadro surrealista: io sul mio divano che parlo con me stessa di cose molto profonde e il fumo della sigaretta ondeggia su un piano inclinato. Sembra la scena di un film di David Lynch.

E adesso, che siedo su una poltrona adagiata su un pavimento orizzontale in una stanza dritta, il cervello mi ondeggia come un mare in tempesta e provo un forte vuoto. Più forte ancora, però, è la delusione... delusione per la fiducia mal riposta, per le speranze lasciate in bilico, per il sentiero impervio su cui m'incammino.