giovedì 10 novembre 2011

Le lenzuola matrimoniali

Piero disfaceva le valige e buttava la roba un po' alla buona nei cassetti come fosse in albergo, sapeva che avrebbe lasciato la casa molto prima del previsto e non ci teneva più all'ordine.
Sfilava le lenzuola da cambiare e ci metteva quelle nuove, matrimoniali, che gli aveva dato sua madre. Erano quelle del corredo dei suoi genitori che non si usavano più da anni benchè lei dormisse ancora nel letto coniugale e suo padre su una branda in salotto. A Piero facevano schifo le lenzuola dei suoi genitori ma nella stanza che aveva affittato c'era un divanoletto a due piazze e non aveva lenzuola sue che andassero bene.

A Piero dava la nausea l'idea di dover tornare alla casa di famiglia. Era necessario, adesso che sua madre era sola e anziana qualcuno doveva badarla. Sua sorella non ne era in grado, studiava ancora e forse aveva intenzione di sposarsi.

Piero gettava sul grande tavolo da pranzo mazzi di scartoffie, i preventivi dell'impresa funebre, i documenti di chiusura dell'assicurazione, quelli per la chiusura del conto bancario, le fotografie per la lapide, l'ultima cartella clinica. Si alzava la polvere dal piano, il tavolo non era mai stato usato da che era lì: in un mese e mezzo avrebbe voluto invitare gli amici a cena più volte... ma che amici? Alberto era andato a studiare a Milano e forse partiva per l'Erasmus in Norvegia, Giuseppe era andato a vivere con la sua fidanzata e non si faceva più sentire, Marco parlava troppo e diventava facilmente noioso, non lo si poteva invitare da solo. Con tutti gli altri aveva perso i contatti da tempo, da quando aveva lasciato l'università.

Così il tavolo da pranzo era rimasto inutilizzato, troppo bello per servire solo da ripiano per la carta. La stessa fine facevano i piatti ancora imballati nella credenza. In frigorifero i barattoli aperti per una sola porzione andavano a male, il formaggio ammuffiva, il pane s'induriva. Perchè i negozi non vendono monoporzioni per chi vive da solo?

Suo padre faceva sempre una spesa esagerata, aveva la cossiddetta "sindrome della guerra", la paura di restare senza mangiare anche in un'epoca di sovrabbondanza. Era soprattutto quando passavano periodi di ristrettezze economiche che, paradossalmente, eccedeva con gli acquisti. Diceva: "Quando ti mancano i soldi la prima cosa che devi procurarti è da mangiare o puoi restare senza all'improvviso". Piero non approvava affatto quell'idea, tutte le volte le scorte di suo padre giacevano dimenticate nella dispensa, scadevano, marcivano e riempivano la casa di insetti.

Sua madre cucinava dalla mattina alla sera, non si capiva dove trovava il tempo. Preparava porzioni eccessive, metà finiva sempre nel secchio. Aveva letteralmente terrore che il marito si lamentasse di aver mangiato poco e per non sbagliare faceva sempre troppo. Ma tanto il marito si lamentava lo stesso, non gli piaceva mai niente, aveva una una critica pronta per ogni piatto che le strillava comodamente dal salotto, dove mangiava lui, alla cucina dove mangiava lei.

Piero e sua sorella si dividevano tra un tavolo e l'altro raccogliendo improperi, insulti, maledizioni che rendevano amarissimi i loro bocconi. L'ora del pasto era l'ora del litigio. Piero detestava la cucina di sua madre e ancor più detestava le lamentele di suo padre.
Nella nuova casa non mangiava quasi mai, nella solitudine non poteva consumarsi un rituale sociale come il mangiare.

Anche il divanoletto a due piazze era inutile. Con chi l'avrebbe mai condiviso nel poco tempo che gli restava lì dentro?
Tutte le sere si fumava una sigaretta, guardava le pareti, pensava se fosse il caso di appendere un calendario ma poi ci rinunciava. Il lampadario a gocce di cristallo era da pulire ma non gli interessava più, nessuno se ne sarebbe accorto. Piero spegneva la lampada sul comodino e nel buio si sentiva oppresso da quelle lenzuola troppo grandi, sporche, dei suoi genitori.

L'indomani mattina era in chiesa per le esequie. Ogni dettaglio era squallido e falso. L'ignoranza e il provincialismo fanno sì che anche il più ostinato oppositore politico e anticlericale abbia paura a non affidare il suo funerale ai preti "A me non ne frega niente della Chiesa - diceva suo padre - però a non fare un vero funerale mi pare brutto". Pareva brutto. Ma cosa? Chi si sarebbe sdeganto della bruttura? Piero era sdegnato innanzitutto per il drappello di parenti che non si vedevano più da quando i suoi si erano sposati (alcuni neanche li conosceva), piangenti e desolati, che offrivano le condoglianze con sofferta umiltà. Piero non versava una lacrima, voleva solo che la messinscena finisse presto.

Sua madre non riusciva neanche ad alzarsi dalla panca quando i passi della messa lo imponevano. Era china sulle sue lacrime. Pensare che quattro giorni prima aveva lanciato tanti di quegli auspici di morte che quasi pareva l'avesse ammazzato lei. No, in realtà era stata la crisi respiratoria che si minacciava da anni. Suo padre non riusciva a respirare, gli mancava sempre il fiato, non ce la faceva a tirare su casa le buste della spesa, non faceva le scale neanche per il primo piano. Però per litigare con la moglie e successivamente sfogarsi sui figli, il fiato non gli mancava mai. Un fatto curioso.

Piero assisteva disgustato al tetro spettacolo parentale. Si domandava che avessero da piangere, loro e la madre e anche sua sorella, che singhiozzava sorretta dal fidanzato. Che c'era da piangere? Lo avevano odiato tutti e Piero non riusciva ad elogiare una sua sola qualità.

Conclusasi la tumulazione tutti gli intervenuti si dispersero. Piero riportò madre e sorella a casa e andò a sdraiarsi nel letto singolo di quella che era stata la sua stanza e che lo sarebbe stata di nuovo di lì a breve. Guardava il lampadario da pulire, i ripiani impolverati, il calendario dell'anno prima rimasto abbandonato, l'orologio fermo da chissà quanto. Tornare a casa era una sconfitta. Ci aveva provato a conquistare la sua indipendenza e aveva ottenuto solitudine.

Non riuscendo a riposare si diresse verso il salotto. La branda era rimasta mezza disfatta dall'urgenza del ricovero, appoggiata al mobile dove giacevano le foto del matrimonio di trentacinque anni prima: pessimi vestiti, orribili capigliature, due facce per nulla convinte. Cosa si erano sposati a fare? Piero non capiva l'utilità del matrimonio, gli sembrava solo un contratto commerciale. E tale si era rivelato, poichè i suoi genitori non avevano mai divorziato per ragioni economiche.

A sua sorella la madre aveva sempre consigliato di non sposarsi ma lei si era convinta che la sua vita coniugale sarebbe stata migliore perchè aveva le idee più chiare di sua madre e non avrebbe vissuto quall'inferno di odio terminato solo con la morte. A lui nessuno aveva mai detto niente ne in un senso ne in un altro, forse perchè era maschio. Suo padre una volta ci aveva provato a lamentarsi con lui della sessualità ormai negata dalla moglie e Piero, inorridito, non ne volle mai più sapere.

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