giovedì 1 marzo 2012

La famiglia moderna

La tecnologia nella mia casa ha fatto ingresso alla stessa maniera di un tir guidato da un ubriaco in un viottolo di campagna. Tutta colpa dei miei genitori che hanno approcciato la faccenda in modi diametralmente opposti ed entrambi estremi, dunque deleteri.

Mio padre è sempre stato appassionato di tecnologia, fondamentalmente è una vendetta contro la sua infanzia povera nel dopoguerra. A scuola fu sempre piuttosto asino, non riuscì a terminare neanche la prima media e lo mandarono a lavorare a calci a soli tredici anni a far da apprendista in una ditta di insegne luminose. Così s'incamminò lungo la strada della nobile, quanto infausta per noialtri, arte dell'elettronica.
Quando avevo solo tre o quattro anni in casa nostra c'era già il computer, erano i primi anni '80 e i cosiddetti "calcolatori elettronici personali" erano delle scatolette da collegare alla televisione le cui principali funzioni, alla fin fine, erano i videogiochi.

Direte, allora, che sia stato un merito questa sua passione... no, aspettate. Adesso viene la parte critica.
Mio padre più che appassionato è sempre stato ossessionato dall'idea di rendersi la vita più comoda per mezzo della tecnologia, col risultato del tutto contrario di renderla a tutti più complicata. Come? Invadendo la casa di attrezzi di dubbia utilità.

Mia madre, invece, è sempre stata una sempliciotta restia a cambiare le sue abitudini: lei non ne vuol proprio sapere di adeguarsi ai tempi. Lei il Telegiornale lo chiama ancora Giornale Radio.
Ma la cosa più snervante è la sua netta opposizione alle comodità, quelle vere, non quelle di mio padre... che significa? Avete presente le confezioni di cartone munite di linguetta per aprirle facilmente e con ordine? Ecco, mia madre no e immancabilmente apre le scatole sfondandole con un coltello a partire dagli angoli superiori. Si faceva una volta. Una volta che non le è passata più.

Come pensate che possa vivere io in una casa dove impunemente si frammischiano Chindogu e Anarco-primitivismo?

Vado in cucina a fare colazione. Non trovo più la mia tazza. Apro tutti gli sportelli, mi cadono addosso sacchetti lordi di grasso e polvere, abbandonati da anni sugli scaffali più inarrivabili... che c'è dentro? Delle teglie sagomate per hamburger. Mmmm... perchè non le usiamo? Ah, perchè non mangiamo hamburger, ecco! In effetti mio padre le aveva comprate per delle cotolette di patate precotte che aveva trovato al supermercato, provate una sola volta e poi cassate per sempre.
Frugo tra le vecchie bollette ammassate dietro le coppe da gelato d'acciaio anni '70 e ne esce fuori una mascherina taglia-mele, è un affare che spingendolo su una mela te la taglia a fette geometricamente regolari. Abbandonato a se stesso perchè mio padre non ha forza nelle braccia e si stancava a spingere sulle mele.

Ma dov'è la mia tazza?
Giro per la casa, sulla porta d'ingresso vedo un grosso pezzo di nastro da pacchi appiccicato a coprire lo spioncino... perchè? É opera di mia madre: le dava fastidio la luce che ci entrava attraverso. E che cos'è quell'impacco sbilenco sulla credenza? Oh, mi sembra di riconoscerlo, sì! E' un vaso di coccio, cioè, lo era... deve essersi infranto cadendo ma invece di incollarne i pezzi mia madre lo ha ricompresso nel medesimo nastro da pacchi. Giuro che se trovo così la mia tazza io impacchetto mia madre.

Entro in salotto. Ci dovrebbe essere un ampio tavolo da pranzo da otto posti, invece c'è un ampio ripiano di cose precipitate una sull'altra. Da mesi il nostro salotto è il laboratorio degli orrori di mio padre: diciamo che un sesto dello spazio, per la precisione il suo posto a capotavola, è stato risparmiato, delimitato dalla irremovibile tovaglia piegata in due e fissata da portatovaglioli, saliera+pepiera+formaggiera tutto-in-uno e dosatore di stuzzicadenti (te ne fa uscire uno alla volta). Il resto è sommerso sotto un mucchio di pezzi di computer, campeggia una stampante-scanner-fax-fotocopiatrice USB stand alone, ci metti un foglio dentro e ti fa una copia a colori senza collegarla al computer. Sopra ci sta appoggiato il cadavere del suo predecessore: un fax-fotocopiatrice-telefono cordless-wireless, la sua colpa fu di stampare solo in bianco e nero. Di telefoni, del resto, non sentiamo la mancanza, ne abbiamo 6, tutti cordless con segreteria telefonica. Perchè mai giacciono inutilizzati? Perchè ciascuno di noi ha almeno un cellulare (mio padre quattro) e se qualcuno telefona al fisso di casa può essere solo una noia (telemarketing, mia zia, ecc...)

Non trovo ancora la mia tazza. Mi sto innervosendo e ho fame.
Improvvisamente sento un gemito affaticato, mi accorgo che la porta-finestra del balcone è aperta. Mi affaccio e trovo mia madre che, col viso corrugato dal dolore, spezza a mano gli spessi rami di una pianta rampicante sfondandosi le dita "Mamma, perchè non usi quelle?" le chiedo scorgendo le cesoie piantate nella terra (le ha usate per scavare). Risponde seccata "Oh, e lasciami stare, non mi va di usarle!" Me ne vado, non prima di sorprendere la mia tazza, ai piedi del vaso, impiegata a raccogliere bulbi marciti e foglie secche. Stamattina faccio colazione con un bicchiere.

Mi preparo un cappuccino espresso con la macchina super accessoriata che mio padre ci ha imposto di usare, ultima di una serie di cinque dal 1994 a oggi. Io preferivo la cara caffettiera moka e scaldarmi il latte in un pentolino sul fornello ma se mi vede a farlo non la finisce più di lamentarsi che "abbiamo le comodità perchè non le usiamo, dico io? che li spendiamo a far tutti questi soldi?" ah, boh... non lo so.
Afferro un cucchiaino nello scolaposate a 10 scomparti, zeppo di attrezzi da cucina: il mega coltello per il pane con leva regolabile per definire lo spessore della fetta, il filtro per il tè in foglie a chiusura ermetica con impugnatura a molla, la paletta pela-grattugia-ortaggi con tre differenti forature per diverse tipologie di taglio (julienne, fette, scaglie), un po' di mestoli di legno di cui uno solo evidentemente utilizzato e gli altri ancora intonsi ma anneriti dal marciume dell'umido, una pinza per raccogliere l'insalata e una simile per gli spaghetti, mai confonderle se no mio padre s'incazza.
Il cucchiaino presenta evidenti tracce di incrostazioni. L'ha lavato mia madre, anzi solo bagnato: lei sostiene che per posate e bicchieri il sapone non vada sprecato, basta una sciacquata e via. Lasciamo perdere, io vado al bar a fare colazione.

Dovrei dunque vestirmi, nel mio armadio non trovo i pantaloni ne alcune magliette e della biancheria. Faccio mente locale, ricordo che erano stesi la settimana scorsa e dovrebbero essere asciutti ormai.
"Mammaaaaaa! Dov'è la mia roba?" "Oh, e non mi scocciare! Apri gli occhi e trovala!"
Dopo intensa ricerca noto che su un ripiano dell'armadio, accanto alle confezioni ancora sigillate di contenitori per abiti traspiranti anti polvere, anti muffa e anti tarme, c'è un sacco nero di quelli per l'immondizia chiuso alla meno peggio con il nastro da pacchi. Ho un grosso sospetto. Lo apro squarciandolo con le mie nude mani (come avrebbe fatto mia madre) e indovinate cosa ci trovo dentro? I miei pantaloni, le mie magliette, la mia biancheria e anche quella di mio padre, il pigiama di quando facevo le medie e una divisa da lavoro di quattro taglie più stretta di chiunque abiti a casa mia.

Voglio scappare. Mi vesto, chiudo a chiave la mia stanza per scongiurare invasioni e mi avvio lungo il corridoio. Passo davanti alla libreria di casa: tutti i libri sono infilati con la costa contro il muro e l'apertura verso l'esterno, cosicchè non si sappia che libri siano. É stata mia madre, ha fatto le pulizie ieri e li ha rimessi dentro così, non le frega niente dei titoli tanto quei libri nessuno li legge.

Imbocco la porta, la intravedo intenta a legare con lo spago mucchi di telecomandi abbandonati da mio padre sulle poltrone, incrocio lui sul pianerottolo con una grossa scatola in braccio "Ehy, guarda che ho comprato! Una macchina per fare il pane in casa, così non regaleremo più i soldi a quello zozzo del fornaio!" Balbetto"T-torno su-subito..." e corro giù per le scale.

Sono fuori. Si respira. Mi nascondo in un bar. Ordino caffè e cornetto al banco. La tazza e il cucchiaino sono puliti, la macchina espresso fa solo quello che deve fare. Mi rilasso in questo limbo di aromi e musichette di sottofondo, interrotto improvvisamente dagli squilli del cellulare. É mia madre "Che per favore, prima di rientrare, mi compri un rotolo di nastro da pacchi?"

2 commenti:

  1. Oltre che divertente, fa riflettere, Rea. Ci sarebbe da fare serie riflessioni antropologiche. Per millenni gli esseri umani hanno usato pochi attrezzi (cose che servivano veramente, all'epoca dei nostri nonni), e forse non siamo neppure biologicamente programmati, oltre che culturalmente, per gestire questa marea montante di "cose" di dubbia o nessuna utilità. Da qui il disordine, l'uso improprio, il disuso, lo spreco, il disagio. La vita diventa più complicata, per colpa dell'ingolfamento consumistico, e noi, per "semplificarcela", compriamo altre cose, in una spirale perceversa. Per la tecnologia il discorso non è diverso. Il giocattolo tecnologico è, più di ogni altro, l'oggetto che dovrebbe semplificarci la vita è. Con la tecnologia faccio magie, cose impossibili come tramutare la merda in oro. Oltretutto questo prodigioso giocattolo diventa sempre più multiuso: ci giochi, ci telefoni, ci navighi, ci suoni, ci balli... E siccome tutte queste cose non sempre ti servono e quasi mai hai voglia di divertirti e insomma non ti ci diverti abbastanza, ne compri ancora, e ancora. E poi c'è pure l'upgrade: se non mi ha fatto felice l'iphone 4, mi ci vuole il 5. Manco a dirlo.

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    1. E tu lo sai che è tutto vero e non mi sono inventata niente? Aiutoooooooooooo!!!

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